Falò di San Giovanni la festa dei fuochi

FalòFalò di San Giovanni e i fuochi di inizio estate

Falò di San Giovanni, ovvero tutto il fascino di una festa patronale che si richiama ai fuochi che si accendevano (e che tuttora si accendono), dando alle fiamme mucchietti di resina, per andare poi a osservarli da lontano, la sera. Questi falò continuano la tradizione di antichi riti pagani legati al solstizio d’estate

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Falò e fuochi, che si sono trasformati e trasfigurati in spettacolari happening pirotecnici trasformando il crepitio di legni e fascine nei cosiddetti fuochi d’artificio. Anche se c’è chi sta tentando il passaggio dai botti ai droni, come si può vedere sotto…

Ricordando che documenti del XVI secolo testimoniano tale consuetudine in quasi tutti i paesi della Germania, anche nell’antica Gallia, durante i giorni solstiziali si accendevano i fuochi sui monti dedicandoli al dio Bel, prima e dopo l’arrivo di Giulio Cesare e del suo calendario.

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Molte sono le antiche credenze e usanze collegate al Solstizio d’Estate, una festa indubbiamente collegata alla fertilità dei campi, infatti ciò che era stato piantato in precedenza comincia a rendersi visibile.

Falò di San Giovanni e la sua festa che, nella fase di cristianizzazione delle feste rurali legate al Solstizio d’Estate, finisce per sovrapporsi allo stesso; molte di queste tradizioni sono legate al mondo rurale e pagano, assorbite però dalle festività religiose cristiane senza però snaturarne le origini e il senso.
Falò ma non solo. Viene infatti considerata una festa per la raccolta di molte erbe, tra cui l’iperico che è l’erba di San Giovanni, molte sono le tradizioni legate a questa festa, la più conosciuta è la raccolta della rugiada della notte tra il 23 e il 24 Giugno. La rugiada raccolta in questa notte avrebbe capacità taumaturgiche. Altre sono le tradizioni, in parte dell’Italia viene messa all’aperto una brocca d’acqua con all’interno un chiaro d’uovo, in Lombardia viene chiamata la barchetta di San Giovanni, e al mattino del 24 si riprende la brocca e in base alla forma che ha assunto il chiaro d’uovo ne si traggono auspici per il proseguo dell’anno. Una leggenda, tradizione che ricorda quella invernale di San Paolo e delle cipolle.

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Falò di San Giovanni e la sua notte; su quest’ultima aleggia la presenza inquietante delle streghe e dei demoni che volano nel cielo. Strix chiamavano la strega gli antichi Romani, fra il chiaro e lo scuro del Sol Invictus (ma non solo…).

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Si trattava, secondo loro, di un uccello simile alla civetta che si nutriva del sangue dei lattanti rapiti dalle culle. Plinio il Vecchio sosteneva come le striges fossero donne trasformate in uccelli per una magia, o almeno così sosteneva la credenza popolare. Nel medioevo le striges assunsero volto e fattezze umane: si trattava delle seguaci di Erodiade o di Diana, la Dea della Caccia e dei boschi, una delle personificazioni della Luna.

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Erodiade, a dire il vero, veniva in realtà confusa con la figlia Salomè che aveva ottenuto da Erode Antipa proprio la testa di San Giovanni in cambio di una danza. Secondo la legenda, quando le fu presentato il piatto con la testa del Santo, Erodiade-Salomè si pentì, ma dalla bocca di Giovanni uscì un vento che spinse la peccatrice a vagare eternamente nell’aria.

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