Alchimia astronomica o Astronomia e Alchimia?

Alchimia astronomicaAlchimia astronomica o Astronomia alchimistica?

Il mondo è un animale unico, di cui tutte le parti, quale che sia la distanza, sono legate tra di loro nel modo necessario. Si tratta del Manifesto della Alchimia astronomica.

Con questa frase Giamblico il Neoplatonico (filosofo nato a Chalcis verso il 250 e morto verso il 330 d.C.) sanciva l’unità dell’Universo e delle sue leggi. Erano ancora tempi in cui l’astronomia si mescolava con l’astrologia, si era spento da poco l’eco dei primi passi nello studio del Cielo da parte dei Caldei, ma tale affermazione non sarà sconfessata neppure dagli astronomi e fisici moderni, perché esprime l’unicità e la connessione generale dell’Universo.

Era però un’affermazione filosofica, senza alcun ragionamento scientifico e senza, soprattutto, alcuna prova sperimentale, ma solo frutto di pura intuizione e quindi si trattava di Alchimia astronomica o Astronomia alchimistica?

Ai suoi tempi era in uso, più per ergersi a depositario di chissà quali verità e sfruttarne la ricaduta di popolarità che ne derivava che per pura voglia di conoscenza, impegnarsi in studi che stabilissero un intreccio di collegamenti tra gli astri del Cielo, i minerali e le pietre della Terra, e tutti gli altri fenomeni più o meno inspiegabili che si manifestavano per volontà degli dei.

Si pretese così che l’influenza degli astri (quindi la nostra Alchimia astronomica) oltre che agli esseri viventi, giungesse a tutte le cose, compreso il regno dei minerali e dei metalli. E nacque una nuova scienza, l’alchimia, il cui confine non fu mai ben distinto da quello della chimica, ma nemmeno da quello dell’astronomia-astrologia. Fin dalla più lontana antichità, l’uomo aveva recepito l’influsso del Sole sulla natura della Terra: con il suo calore generava le stagioni regolando la vita vegetale e animale. Per conseguenza, attribuì  lo stesso ruolo ai diversi astri, meno potenti del sole, ma la cui marcia era soggetta a leggi così regolari. Documenti storici provano che queste supposizioni ebbero origine a Babilonia e in Caldea e da lì si espansero, giocando comunque un ruolo importante nello sviluppo dell’astronomia, che molto più tardi si sarebbe distinta dall’astrologia.

Anche l’alchimia (e quindi la nostra Alchimia astronomica) si basò su questi collegamenti per stabile un rapporto tra i vari minerali o cristalli e gli astri, e quindi gli dei. Ma l’analisi chimica dei minerali era ben lungi dall’essere nota e attuata, e pertanto la classificazione di essi era fatta solo in base allo splendore o al colore degli stessi. Noi ora sappiamo invece che il colore dei minerali deriva dalla loro composizione chimica: nulla a che vedere con il colore delle stelle che è determinato dal calore dell’astro.

Diverse materie furono inoltre dedicate da un popolo a un astro, salvo poi essere ritrovate con diversi riferimenti presso altre popolazioni: c’è una certa assonanza con la suddivisione delle stelle in costellazioni diverse a secondo delle varie usanze locali.

Fin dall’inizio tutto l’ordinamento fu orientato verso il numero 7.

Era la cifra sacra che si trovava ovunque, nei giorni della settimana, nel conteggio dei pianeti e delle zone celesti, in quello dei metalli, dei colori, delle corde della lira e dei toni musicali, come pure nel numero delle stelle dell’Orsa Maggiore (o meglio nel Grande Carro). L’origine del numero parrebbe essere astronomico e corrispondere alla lunghezza delle fasi lunari: rappresenta cioè i giorni di durata di un quarto della rivoluzione di questo astro. L’uso della settimana era applicato in Egitto e in Caldea, come testimoniano diversi monumenti e si recita della Creazione nella Genesi. Anche se non esisteva nella Grecia classica e non diventerà corrente a Roma che ai tempi di Costantino. E solo dopo il trionfo del Cristianesimo fu riconosciuto come misura legale della vita civile, diventando poi universale presso i popoli europei.

Il caso volle che anche il numero degli astri erranti, i pianeti Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno oltre al Sole e alla Luna, corrispondesse a sette: fu così molto semplice collegarli agli Dei della mitologia, dedicando loro il nome di ogni giorno della settimana. La conoscenza delle divinità planetarie si espanse nel mondo greco-romano a partire dal primo secolo della nostra era. Si è trovata a Pompei una pittura rappresentante le sette divinità planetarie. Una medaglia con l’effige di Antonino Pio, coniata nell’ottavo anno del suo regno, raffigura i busti di sette Dei planetari assieme ai segni dello zodiaco.

I Greci, con il loro spirito ingegnoso, non tardarono a immaginare tra i pianeti e i fenomeni fisici delle relazioni pseudo-scientifiche, di cui qualcuna, come il numero dei toni musicali e dei colori si  è conservata. Così la scuola di Pitagora stabilì un rapporto geometrico dei toni musicali con il numero e le distanze stesse dei pianeti [Plinio, Nat.Hist., II, 20].

Anche il numero dei colori dei minerali fu fissato a sette. Questa classificazione, arbitraria ma  consacrata anche da Newton, é giunta fino ai fisici del nostro tempo, quando la scienza è divenuta sperimentale e tutto è stato ordinato in base alle caratteristiche analitiche del proprio stato fisico.

Alchimia astronomica quindi… Fino ad allora l’accostamento tra metalli e pianeti risultava non solo per il loro nome, ma soprattutto per il loro colore. Gli astri si manifestavano alla vista con delle colorazioni sensibilmente distinte: «suus cuique color est», dice Plinio [Nat.Hist., II, 16]. La natura diversificata di questi colori rafforzava l’accostamento dei pianeti ai metalli. E cosi si comprende agevolmente l’assimilazione dell’oro, il più eclatante e regale dei metalli, alla luce gialla del Sole, il dominatore del Cielo.

A ogni astro una materia è assegnata. Al Sole, l’oro; alla Luna, l’argento; a Marte, il ferro; a Saturno, il piombo; a Giove, l’électron [lega d’oro e argento]; a Mercurio, lo stagno; a Venere, il rame.” diceva uno scrittore dell’epoca alessandrina.

Un esempio di Alchimia astronomica? Giordano Bruno?

Magia e astronomia, rapporto difficile?

In effetti, se il colore giallo brillante del Sole richiama quello dell’oro, la luce bianca e dolce della Luna è stata da sempre rapportata alla tinta dell’argento. La luce rossastra del pianeta Marte [ignea, secondo Plinio; infiammata, secondo gli alchimisti] richiama però più il colore del sangue e della guerra che quello del ferro [anche se arrugginito], consacrato alla divinità dallo stesso nome. Il brillio bluastro di Venere, la stella della sera e del mattino, richiama la tinta dei sali di rame [cuprum], metallo il cui nome deriva da quello dell’isola di Cipro, consacrata alla dea Cypris, uno dei nomi greci di Venere. Tra la tinta bianca e oscura del piombo e quella del pianeta Saturno, la parentela è ancora più stretta. I colori e i metalli assegnati a Mercurio lo scintillante [radians, secondo Plinio: per la sua vicinanza al Sole], e a Giove il risplendente sono variate più volte.

Tutte queste attribuzioni sono legate alla storia dell’astrologia e dell’alchimia. In effetti per gli autori dell’epoca questi non sono dei semplici accostamenti, ma si tratta della nascita stessa dei minerali, prodotti secondo loro sotto l’influenza degli astri nel seno della terra, generati sotto l’influsso delle divinità celesti e dei loro effluvi: il Sole produce l’oro; la Luna, l’argento; Saturno, il piombo; e Marte, il ferro. Presso i Sabèi, eredi degli antichi Caldei, i sette pianeti erano adorati come divinità, ciascuna aveva il suo tempio, e, dentro questo, la sua statua era fatta con il metallo che le era dedicato.

Le attribuzioni dei metalli ai pianeti per gli alchimisti (e quindi per la Alchimia astronomica) non erano le stesse che per i neoplatonici. Sembrano rispondere a tradizioni un po’ differenti: a Giove era assegnato il bronzo, e a Marte il rame. Si incontrano tracce di una diversità più profonda e ancora più antica in una vecchia lista di alchimia, riprodotta in vari manoscritti alchimistici o astrologici, dove il simbolo di ogni pianeta è seguito dal nome del metallo e dei corpi derivati o cogenerati, messi sotto il patronato del pianeta. In questa lista, la maggior parte dei pianeti corrisponde agli stessi metalli degli altri elenchi ordinari, a eccezione del pianeta Mercurio, in corrispondenza del cui simbolo si trova non il nome di un metallo, ma quello di una pietra preziosa, lo smeraldo.

Tuttavia l’associazione delle pietre preziose ai metalli è scomparsa presto, mentre per più lungo tempo si è continuato a disporre in una stessa classe i metalli puri come l’oro, l’argento, il rame, e certe loro leghe, per esempio l’électrum e il bronzo. Questo portò a variazioni importanti nei segni dei metalli e dei pianeti.

Tracciamone una piccola storia. Olimpiodoro, neoplatonico del VI secolo, attribuisce il piombo a Saturno; l’électrum, lega d’oro e d’argento considerata come un metallo unico e distinto, a Giove; il ferro a Marte; l’oro al Sole; il bronzo o il rame a Venere; lo stagno a Hermès (il pianeta Mercurio); l’argento alla Luna. Queste attribuzioni corrispondono esattamente punto per punto alla lista di un manoscritto alchimistico di Saint-Marc, scritto nel XI secolo, che richiama documenti molto antichi. I simboli alchimistici (e quindi anche della Alchimia astronomica) che figurano nei manoscritti comprendono i seguenti metalli, il cui ordine e le cui attribuzioni sono per la maggior parte costanti:

1) al Sole corrispondeva l’oro, il simbolo è quasi sempre lo stesso del Sole, solo in una nota isolata sembra corrispondere a un’abbreviazione;

Equinozio di primavera 20 o 21 marzo?

2) alla Luna corrispondeva l’argento, che è sempre indicato con il segno del pianeta;

Luna e binocolo più telescopio

3) a Saturno corrispondeva il piombo, sebbene questo avesse diversi segni distinti nelle liste del manoscritto di Saint-Marc. Considerato dagli alchimisti egiziani come il generatore degli altri metalli e materia prima della trasmutazione, il suo segno comprendeva anche lo stagno e le numerose leghe derivanti da questi due metalli, associati tra di loro e con l’antimonio, lo zinco, il bismuto, ecc.

4) a Giove corrispondeva l’électrum, reputato un metallo particolare presso gli Egizi, che lo designavano sotto il nome di asèm. E’ descritto da Plinio, e fu considerato fino al tempo dei Romani come un metallo distinto. Quando l’électrum scomparve dalla lista dei metalli, il suo segno fu destinato allo stagno, che fino allora era accostato al pianeta Mercurio.

5) a Marte corrispondeva il ferro; questa attribuzione è la più ordinaria. Lo stesso simbolo del pianeta Marte si trova talvolta dato però allo stagno. Marte e il ferro hanno altrove due segni distinti, sebbene comuni al metallo e al pianeta: una freccia con la punta, e una q, iniziale della parola touras, nome antico del pianeta Marte, talora anche con l’aggiunta di una p, abbreviazione di pureis, il fiammeggiante, altro epiteto di Marte.

6) a Venere (Afrodite) corrispondeva il rame. Ad essa era assimilata Hathor, la divinità egizia multicolore, della quale i derivati blu, verdi, gialli e rossi del rame richiamano le colorazioni diverse. Il simbolo del rame è in effetti quello del pianeta Venere.

7) al pianeta Mercurio (Hermès) corrispondeva inizialmente lo stagno. Quando a Giove fu cambiato il metallo corrispondente (electrum) e gli fu accostato lo stagno, il simbolo del pianeta Mercurio passò anche al metallo mercurio: sconosciuto, sembra, agli antici Egizi, ma conosciuto a partire dai tempi della guerre del Peloponneso e per conseguenza all’epoca alessandrina, quando era considerato come una sorte di contro-argento rappresentato dal simbolo della luna rigirata.
Questo è quanto si può dedurre con una certa sicurezza dai testi alchimistici dei tempi passati, ma certe discordanze riscontrate possono anche essere state generate dal modo criptico ed ermetico di scrivere dell’epoca.

Gli Adepti dell’Alchimia (Alchimia astronomica compresa) hanno celato l’identità delle materie prime per paura – hanno detto – che i mercanti o i folli non arrivassero a provocare dei disastri con la divulgazione delle loro conoscenze, in particolare di ciò che è veramente la pietra filosofale, molto più preziosa in verità dell’oro stesso. Ma in questo modo hanno anche creato una confusione, voluta o casuale, che rende di difficile interpretazione ogni loro testo, anche oggi che il loro sapere è divenuto ben poca cosa.

I principi generali (della Alchimia astronomica) e delle nomenclature sono comunque meno cambiati di quanto si sarebbe portati a credere, l’intelletto umano procede seguendo delle regole, e quei sistemi di simboli sono rimasti più o meno gli stessi nel passare dei tempi. Ma è opportuno osservare che le analogie fondate sulla natura delle cose, cioè sulla composizione chimica, sussistono e rimangono i fondamenti delle nostre conoscenze scientifiche, mentre le analogie alchimistiche di una volta tra i pianeti e i metalli, fondate su idee mistiche senza base sperimentale, sono cadute nel giusto discredito. Ciononostante la loro conoscenza conserva ancora dell’interesse per la comprensione dei vecchi testi e per la storia della scienza.

Storia dell’Alchimia

Ispirato by Calendario della Luna Verde

Photo by Luigi Viazzo with Huawei P8 Lite