Parole e numeri: combinazioni all’infinito e oltre?

Parole

Parole, parole, parole e… numeri!

Parole infinite a braccetto con cifre astronomiche e combinazioni inimmaginabili? Si tratta di un tris di accoppiata sostantivo aggettivo che, di primo acchito, richiama alla mente la matematica, la fisica, la cosmologia (a esagerare la numerologia con i suoi giochi a base di numeri) o gli scacchi ma non certo linguistica, letteratura e grammatica.
E invece no… parole, parole, parole come recitava una canzone del tempo che fu e che può rappresentare l’incipit per una dissertazione su un gioco proposto illo tempore da Georg Philipp Harsdörffer (Norimberga, 1º novembre 1607 – Norimberga, 17 settembre 1658) nella sua opera Philosophischen und Mathematischen  Stunden, Lezioni filosofiche e matematiche (scritta fra il 1651 e il 1653) prevedeva di disporre su 5 ruote 264 unità (prefissi, suffissi, lettere e sillabe) per generare attraverso la combinatoria ben 97.209.600 parole tedesche, comprese quelle inesistenti, che avrebbero potuto essere impiegate per usi creativo-poetici.

Ma attenzione, perché il nostro si limitava all’idioma teutonico… Allora, come avrebbe detto Michele Lubrano la domanda sorge spontanea: perché non concepire una macchina in grado di generare tutte le lingue possibili?
Prima però un passo indietro, a livello temporale di pochi decenni, per la precisione all’anno 1607, quando il problema/tematica della combinatoria era comparso nel commentario In spheram Ioannis de Sacro Bosco di Cristoforo Clavio: questi nel discutere le possibili combinazioni tra le cosiddette 4 qualità primarie (Caldo, Freddo, Secco e Umido) considerava che le stesse avrebbero potuto dare materialmente luogo a 6 combinazioni, ma poiché Caldo/Freddo, Secco/Umido sono tra loro incompatibili, le combinazioni accettabili sono Terra (fredda e secca), Fuoco (secco e caldo), Aria (calda e umida) e Acqua (fredda e umida).
Ma Clavio, arrivato a queste conclusioni non si accontenta, sembra voler andare oltre e superare questi limiti: così si chiede quanti termini potrebbero essere prodotti con le 23 lettere dell’alfabeto (all’epoca non esisteva distinzione fra u e v ndr), combinandole a due a due, a tre a tre e così via, sino a prendere in considerazione parole di 23 lettere.

Un veloce salto temporale ed eccoci atterrare nel 1622 quando Pierre Guldin scrive Problema arithmeticum de rerum combinationibus, (alias problema aritmetico sulla combinazione delle cose) dove calcola tutte le dizioni generabili mediante 23 lettere, indipendentemente dal fatto se fossero dotte di senso e pronunciabili e senza calcolare le ripetizioni: risultato? Aveva calcolato che il numero di parole (di lunghezze variabili da 2 a 23 lettere) era più di 70.000 miliardi di miliardi (già che ci siamo sottolineiamo che per scrivere questi termini sarebbero stati necessari più di 1milione di miliardi, di miliardi di lettere).

Vogliamo cercare di quantificare? Per scrivere tutte queste parole su registri di 1000 pagine, a 100 lingue per pagina e 60 caratteri per linea occorrerebbero addirittura 257 milioni di miliardi di tali registri di tal fatta; Guldin prova a immaginarli all’interno di una biblioteca, della quale studia disposizione, ampiezza e quan’altro per realizzare costruzioni di forma cubica di 432 piedi per lato (un piede 30,48 cm = 13167,4 cm, 131,674 metri), ciascuna capace di ospitare 32 milioni di volumi, con il risultato che ne occorrerebbero 8.052.122.350 all’uopo.
Vi è venuto il mal di testa? Male perché… bisogna immaginare una location per tali strutture e, calcolando la superficie disponibile sull’intero pianeta Terra lo stesso potrebbe alloggiarne solo 7.575.213.799! Necessario quindi aprire dependance su Luna et Marte?

Ma tirèmm innànz, avrebbe detto qualcuno e così arriviamo all’anno Domini 1636, quando padre Marin Mersenne, nel suo Harmonie universale, si pone lo stesso problema, considerando oltre alle dictiones anche i Canti (e cioè le sequenze musicali) generabili. Si tratta in un certo senso di un completamento visto che, anche in tempi più vicini a noi, in quante occasioni anche su Cd e vinili abbiamo visto vicino al titolo di una canzone “word and music by”? Trovata quindi la quadra, il linguaggio armonico (Harmonices Mundi di un tale Giovanni Keplero dice qualcosa?) ci si tuffa verso una dimensione capace di contenere e/o generare addirittura una lingua universale, (ben più ampia del nostro Esperanto o di Lincos, l’idioma per parlare con gli alieni) in grado di contenere potenzialmente tutte le lingue possibili, con un alfabeto capace di  comprendere “più milioni di vocaboli di quanti siano i grani di sabbia in tutta la Terra” (tratto da una lettera del 1635).
Sul versante musicale prende in considerazione canti che si possono generare su una estensione di tre ottave, e dunque 22 suoni, senza ripetizioni, per annotare tutti questi canti occorrerebbe un numero di risme di carta astronomico anche se ogni foglio contenesse 720 canti di 22 note ciascuno: difatti i canti generabili con 22 note sono 1.124.000.727.777.607.680.000, e dividendoli per i 362.880 che possono stare in un risma, si otterrebbe pur sempre un numero di 16 cifre. E se si volessero scrivere tutti questi canti, 1000 al giorno, occorrerebbero 22.608.896.103 anni e 12 giorni.
Visti questi dati/numeri Guldin osservava che non ci si dovesse stupire del fatto che nel mondo esistessero tante lingue diverse: una realtà giustificabile, secondo lui, con l’impossibilità di porre limiti alla onnipotenza di Dio.

Ma non è finita, perché scaturivano altre domande o ultima domanda
– Ci sono più nomi o cose?
– Quanti nomi occorrerebbero se ai dovessero dare più nomi a ciascun individuo?
– E se Adamo avesse dovuto davvero nominare tutto, quanto sarebbe durato il suo soggiorno nell’Eden?
E qui Guldin si avventura nella galassia dei nomi collettivi con delle considerazioni iperbolico-paradossali: per esempio, se un uomo ha 100.000 capelli in testa e 100.000 altri peli sul resto del corpo, occorrono 200.000 parole per nominarli, qualora desiderasse differenziarli, con la conseguenza che nominarli e differenziarli fra loro e in ogni individuo occorrerebbe dunque una lingua artificiale capace di generare dizioni ad hoc.
Non scevra, da queste prolusioni, una certa verve evoluzionistica in base alla quale l’uomo, novello Adamo, avrebbe (e avrebbe avuto) nel corso del tempo, grazie a questa lingua artificiale, la possibilità di nominare tutto quello che il suo progenitore non aveva fatto in tempo a battezzare, per arrivare a quella conoscenza eterna (superhuman knowledge) di faustiana memoria, una capacità di conoscenza dell’individuale che apparterebbe però soltanto a Dio.

Si arriva, in definitiva, alla difficoltà se non incapacità di distinguere tra l’onnipotenza divina e la possibile onnipotenza di una perfetta lingua combinatoria manovrata dall’uomo, tanto che Marin Mersenne nella  sua opera Quaestiones super Genesim (1623) vede in questa presenza dell’infinito nell’uomo una prova manifesta dell’esistenza di Dio.

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Fonte: Umberto Eco: Tra La Mancha e Babele

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