Dante Alighieri e la Croce Australe (parte II)

Dante Alighieri

Dante Alighieri e la Croce Australe

Dante Alighieri e la Croce Australe seconda puntata: un altro passo, presente sempre nel Purgatorio, sembrerebbe far riferimento alla Croce:

“Li occhi miei ghiotti andavano pur al cielo,

pur là dove le stelle son più tarde,

sì come rota più presso allo stelo.

“E ‘l duca mio: “Figliuol, che là su guarde”.

E io a lui: “A quelle tre facelle

Di che ‘l polo di qua tutto quanto arde”.

“Ond’elli a me: “Le quattro chiare stelle

che vedevi staman, son là basse

E queste sono salite ove eran quelle”.

Dante Alighieri e l’interpretazione… La parte del cielo dove le stelle“son più tarde” sarebbe in questo caso il polo antartico, o Polo Sud Celeste, dove gli astri compiono un moto apparente meno veloce, perché percorrono nelle stesse ventiquattr’ore un’orbita minore di quella che percorrerebbero se si trovassero più vicine all’equatore celeste.

Le quattro stelle scese al di sotto dell’orizzonte sarebbero quelle della Croce del Sud, che richiamano le virtù cardinali.
Le “tre facelle” – che le avrebbero sostituite, anche se non si sono mai identificate e forse non esistono nemmeno nel cielo reale – sarebbero invece le tre virtù teologali (fede, speranza e carità), che rendono le facoltà dell’uomo idonee alla partecipazione alla natura divina, per permettergli di vivere con la Santissima Trinità. Esse fondano, animano e caratterizzano l’agire morale del cristiano e vivificano tutte le virtù morali.

Dante Alighieri e altre interpretazioni del passo dantesco, secondo le quali le virtù cardinali farebbero riferimento al giorno, cioè all’esercizio etico della vita, mentre le teologali sarebbero indispensabili per vincere le tentazioni diaboliche simboleggiate dalla notte.

Ma come poteva Dante Alighieri conoscere le quattro stelle invisibili alla nostra latitudine? Probabilmente attraverso qualche globo celeste arabo, popolo con il quale i pisani erano in continue relazioni commerciali, ovvero averne avuto notizia al ritorno di Marco Polo (1295), il quale si era spinto verso sud, fino a Giava e il Madagascar. Anche se il celebre viaggiatore veneziano non aveva chiamato l’asterismo con il nome con il quale oggi lo conosciamo.

L’astronomia comunque, al di là dei riferimenti all’asterismo australe, è ben presente all’interno del poema, in alcuni passaggi chiave.

L’Inferno finisce infatti con…

“Quindi uscimmo per rimirare le stelle ”.

Il Purgatorio si conclude con…

“Pure e disposte dal monte fino alle stelle ”.

Il Paradiso termina con…

“L’amore che muove il sole e le altre stelle ”.

Da notare in questo ultimo passaggio la conoscenza astronomica in apparenza più avanzata del poeta rispetto ai suoi contemporanei , visto che associa il Sole alle stelle .

I riferimenti al “Sommo poeta” ci riportano al già citato fenomeno della precessione degli equinozi, grazie alla quale la costellazione, oggi sinonimo di cieli australi, era visibile 5000 anni fa dalle coste meridionali del Mar Baltico, dove millenni dopo avrebbero scorrazzato i Vichinghi con le loro bussole solari.

Le stelle più vicine al polo celeste antartico osservate dagli antichi sono quelle dell’Altare e dei piedi del Centauro, la cui declinazione australe non supera i 60°. Occorre dunque andare fino a 30° di latitudine Nord, almeno fino al Cairo (Alessandria d’Egitto è a 31° 12′) per cominciare a vedere questi astri. Ipparco e Tolomeo oggi non le vedrebbero più dai loro osservatori, come 21 secoli orsono, a causa della precessione degli equinozi che le ha rese più meridionali.

Al tempo di Tolomeo sull’orizzonte di Alessandria sorgeva non soltanto l’alfa, ma tutto il Centauro, l’Altare e anche la Croce del Sud, con la sua Mimosa, allora incorporata come già detto nello stesso Centauro e conosciuta, come riferisce Plinio il Vecchio (I secolo d.C.), con l’appellativo de il trono di Augusto.

Mentre oggi l’Altare, gran parte del Centauro, la Croce del Sud, quasi tutta la Nave di Argo, Canopo, Achernar (Alfa di Eridano) Fenice e Indiano sono invisibili dalle nostre regioni, tredicimila anni fa, Altare, Indiano, l’intero Centauro e la Croce salivano anche di parecchi gradi sugli orizzonti dell’Europa centrale, sui quali però non sorgevano Sirio, Lepre, i tre quarti inferiori di Orione ed Eridano. Se questa “configurazione celeste” si riproporrà fra 13.000 anni (per via della precessione), va ricordato che gli abitanti della nostra Penisola 6500 anni fa potevano vedere Altare, Lupo, Centauro, Nave di Argo e Croce, la quale scomparve dai nostri orizzonti circa 4000 anni fa.

Nella sua forma moderna la Croce del Sud sembra sia apparsa nei mappamondi celesti dei cartografi olandesi Petrus Plancius e Jodocus Hondius, rispettivamente nel 1598 e nel 1600. Prima di allora Plancius aveva rappresentato una croce del sud stilizzata in una parte del cielo completamente diversa a sud di Eridano.

La sua invenzione come costellazione è stata talvolta attribuita a Royer nel 1679, ma era già stata illustrata nel globo celeste del geografo Emerie Mollineux in Inghilterra nel 1592.

La minuscola costellazione australe venne definitivamente consacrata nel 1603 dall’atlante di Bayer. Il cartografo tedesco da una parte aveva catalogato le quattro stelle della Croce come ε, ζ, ν e ξ del Centauro, anche se a piè di pagina avvertiva che esse costituivano l’asterismo denominato Modernis Crux.

Amerigo Vespucci, nel segnalare queste quattro stelle (1501), non usò il nome di Croce ma affermò che esse tracciavano in cielo una figura romboidale, una “mandorla” per la precisione.

A battezzarla “Croce del Sud” fu nel 1515 il fiorentino Andrea Corsali, il quale definì “Croce maravigliosa” la nuova costellazione che trovò “così leggiadra e bella che nessun altro segno celeste può esserle paragonato”.
La ricordava nel 1520 anche il vicentino Antonio Pigafetta – che accompagnò Magellano nel primo viaggio intorno al globo tra il 1519 e il 1522 – come El Crucero, e si riferì ad essa coma a “una croce maravigliosa”.

Il navigatore portoghese Vasco de Gama nelle Lusiadi la cita come:

“Un nuovo gruppo di stelle nel nuovo emisfero,

non ancora viste da alcuno”.

Stranamente il geografo inglese Thomas Bludenville, nel 1574, definì la costellazione il “Triangolo meridionale”, ma ciò accadeva 19 anni prima che Bayer desse questo nome ad un altro gruppo di stelle , il “Triangolo Australe”.

Le stelle della Croce erano comunque già note nel Medio Evo in quanto indicavano la direzione del Polo Sud celeste.
(Continua)

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