Sirena il mito fra acqua e Terra (parte III)

Sirena
Sirena da Omero a Disney via Andersen

Sirena un nome che rievoca, fra le molte creature mitologiche concepite dalla fantasia umana, una delle più rappresentate nell’immaginario collettivo, visto che le acque hanno sempre affascinato gli esseri umani e quindi, come avrebbe detto Michele Lubrano, la domanda sorge spontanea: che cosa si nasconde nei recessi più remoti degli abissi?

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Sirena, creatura dal fascino antico, visto che già in Mesopotamia possiamo trovare divinità e miti legati alle acque primordiali, con figure che mostrano un corpo in parte umano, in perfetto stile sirene, in parte di pesce (vedi la divinità Atargatis): un trend che poi prosegue nel folklore cambogiano e in quello giapponese con le figure anfibie nel Ramayana e una forma molto simile a quella che diverrà l’immagine tradizionale della Sirena, ovvero un essere marino con il volto umano e dotato di una voce melodiosa, la Ningyo; in Occidente, invece, la figura della sirena appare diversa: il suo aspetto, infatti, è quello di un orribile uccello con il volto di donna, capace di incantare i marinai con la propria voce, attirando le navi verso gli scogli e provocandone il naufragio.
Le vedette della categoria erano le sorelle Partenope, Leucosia e Ligea, descritte da Omero nell’Odissea, le cui righe ne rappresentarono l’epitaffio, quando Ulisse, grazie ai consigli dell’ombra di Tiresia, riuscì a sentire il loro canto senza naufragare, tappando le orecchie dei suoi marinai con la cera e legandosi all’albero della nave.
Risultato? Lo smacco per le sorelle fu tale che si suicidarono.

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Detto che del Mediterraneo vi erano diverse testimonianze di creature marine in parte umane e in parte pesci (anche se non ancora definite sirene), vedi alcuni esempi by Plinio il Vecchio nella sua monumentale Naturalis historia, le  sirene presso i greci sono da una parte delle seduttrici, ma assumono anche un simbolismo nella filosofia, come portatrici di conoscenza, la stessa che le tre sopra citate sorelle avrebbero offerto a Ulisse/Odisseo, diversa, in verità, dalla concupiscenza legata a questa creatura mitologica (le sirene come simbolo della sessualità che portano alla perdizione i bravi marinai sono in effetti una costruzione successiva, nata con l’avvento del cristianesimo).
Un esempio/conferma di tutto ciò in quella che è considerata una delle più grandi opere del sapere umano, la Divina Commedia by Dante Alighieri. Nel Canto XIX del Purgatorio, in prossimità della cornice degli Accidiosi, Dante, infatti, sogna una femmina balba che si trasforma quindi in una donna attraente, la quale si presenta come la sirena, simbolo di piacere fisico capace di distrarre l’essere umano da fini più elevati.

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Ma non è tutto: in molte culture europee non latine erano presenti miti di creature marine capaci di assumere l’aspetto di donne, vedi la Selkie, figure del folklore celtico e anche scandinavo, ovvero foche che avevano la capacità di mutare pelle e diventare esseri umani, vivendo in superficie.

Questa citazione della Scandinavia ci introduce a un tema ricorrente, ovvero la rinuncia alla vita acquatica per sposare un partner umano, storie che arrivarono alle orecchie di un bambino di Odense, nomato Hans Christian Andersen che vergò la storia della Sirenetta che oggi conosciamo tutti grazie alla sua trasposizione nel classico Disney, anche se la fiaba originale è dipinta a tinte molto più oscure: qui, infatti, si narra di una splendida sirena adolescente, figlia del Re del Mare, che nel giorno del suo quindicesimo compleanno sale in superficie e si innamora di un Principe: trattasi di un amore impossibile che trova ostacoli sia da parte della sua famiglia sia della natura così  la giovane innamorata si accorda con la strega del mare che le fornisce una pozione ad hoc. Il prezzo? La perdita della voce, il che però le permetterà di trasformarsi in una femmina umana e tentare conquistare il Principe; in caso di fallimento, però, si dissolverà in spuma marina. La fiaba non ha però un lieto fine al 100% e la giovane, che non riesce a mutare l’attrazione del principe in amore, è destinata a morire. Tutto finito? No, perché viene tuttavia concesso di reincarnarsi in un nuovo livello di esistenza, uno spirito dell’aria che potrà aspirare a ottenere un’anima (e quindi la vita eterna) attraverso le buone azioni, facendo sorridere i bambini; per la precisione, compiendo buone azioni per trecento anni, avrà raggiunto il suo scopo, ovvero aiutare i bambini, donando loro pace e sorrisi.

Nel film della Disney, invece, il lieto fine c’è eccome: Tritone, re del mare e padre della Sirenetta (all’anagrafe Ariel), rendendosi conto che la figlia ama veramente l’umano Eric, rectius il Principe Eric, la trasforma da sirena in un essere umano; così, dopo essersi riappacificata con il padre, Ariel si sposa su una nave con il suo Eric e i due partono, per vivere felici e contenti, salutati da tutto il regno di Atlantica.

Prossimamente faremo, però, sul nostro blog un raffronto più dettagliato fra le due opere.

(Continua)

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