Raffaello, Astronomia et Scuola di Atene

Raffaello

Raffaello, la Scuola di Atene e l’Astronomia

La Scuola di Atene è, come noto, un affresco di Raffaello Sanzio (dipinto negli anni fra il 1509-1511) ed è considerato la sua opera più conosciuta in assoluto; ubicata nella Stanza della Segnatura, una delle quattro Stanze Vaticane, poste all’interno dei Palazzi Apostolici, è balzata per l’ennesima volta all’onore delle cronache in occasione del restauro, conclusosi nel 2019, del Cartone preparatorio per la Scuola di Atene, carboncino e biacca su carta incollata su tela, cm. 285 x 804 (l’affresco invece ha le seguenti dimensioni 770×500 cm circa) ospitato a Milano presso Pinacoteca Ambrosiana.

Raffaello

Il sopra citato restauro ha fatto sorgere la domanda spontanea, come avrebbe detto Michele Lubrano, ovvero se ci fossero richiami all’astronomia nel dipinto, vista la presenza, fra i vari personaggi di Claudio Tolomeo e Aristotele e, soprattutto, se l’urbinate avesse avuto qualche ispirazione celeste per la propria opera.

Si tratta di una ricerca, ovviamente, speculativa, che i soci del Gruppo Astrofili Lariani (Luca Parravicini, Marco Parravicini e Luigi Viazzo) hanno condotto per gradi.

Eventuali richiami a Costellazioni: quali gruppi di stelle meglio si addicevano al dipinto?

  1. A) Orsa Maggiore e Orsa Minore
  2. B) Cassiopea e Cefeo
  3. C) Pegaso, Andromeda e Perseo

Perché proprio questi gruppi di stelle? Perché hanno un significato astronomico e mitologico di grande importanza e questo si ricollegherebbe alla sopra citata presenza nel dipinto di Claudio Tolomeo, “padre” dell’astronomia pre galileiana la cui opera Megale Syntaxis (Almagesto nella sua traduzione/versione araba) è stata opera di riferimento in campo astronomico fino alla rivoluzione copernicana, senza dimenticare la parimenti fondamentale fonte di ispirazione proveniente dall’opera “enciclopedica” di Aristotele (anch’egli presente nel dipinto).

Per loro importanza queste conformazioni celesti possono essere suddivise in due gruppi/insieme intersecantesi:

  • Costellazioni vicine al Polo (nord) Celeste, quindi circumpolari sempre visibili, ovvero Orsa Maggiore (con l’asterismo del Grande Carro), Orsa Minore (con l’asterismo del Piccolo Carro), Cefeo (dalla caratteristica forma a casetta, ricollegabile a posteriori alla Capanna di Betlemme) e Cassiopea (dalla caratteristica forma a W o M a seconda della stagione o dell’ora di osservazione).
  • Costellazioni regali e quindi per estensione papali visto il potere anche temporale del pontefice all’epoca: Cefeo (Re d’Etiopia), Cassiopea (Regina d’Etiopia), Andromeda (principessa d’Etiopia), Perseo (dalla caratteristica forma a Y rovesciata e sposo di Andromeda), Pegaso (destriero di Perseo e portatore dei fulmini di Giove/Zeus sulla Terra). Si aggiunge la nota riguardante la Balena, il mostro Ceto legato a filo doppio alle costellazioni di questo secondo gruppo.

A seguire qualche dato astronomico/mitologico sulle costellazioni di cui sopra:

Cassiopea alias una Regina vanitosa
I Greci vedevano, in questo gruppo di astri, Cassiopea la moglie vanitosa del re d’Etiopia Cefeo, detta anche Cassiepea. Un giorno ella affermò di essere più bella delle Nereidi, le cinquanta (o anche di più secondo alcuni autori) ninfe del mare, figlie di Doride e Nereo, detto il vecchio del mare. Queste ninfe erano le divinità del mare calmo, quindi protettrici dei marinai. Le più conosciute erano Tetide (che guidava le loro danze fra la schiuma marina), Galatea, Cimotoe, Panope e Anfitrite. Quest’ultima era la sposa di Nettuno (o Poseidone), il dio del mare, e proprio a lui le Nereidi si rivolsero, affinché punisse la grande superbia di Cassiopea. Nettuno, dapprima espresse la sua collera, scuotendo violentemente il mare con il suo tridente, provocando grandi mareggiate che devastarono le coste d’Etiopia. Questo maremoto, poi, scosse dagli abissi Ceto (alias costellazione della Balena di cui oltre), una mostruosa creatura marina, dalle dimensioni gigantesche. Il mostro proseguì l’opera di Poseidone, accanendosi contro le coste del regno di Cassiopea e Cefeo e provocando gravissimi danni alle coste dell’Etiopia. Quando i due coniugi coronati si rivolsero ad un oracolo, per conoscere il modo per placare l’ira del terribile cetaceo, questi disse che avrebbero dovuto incatenare la bellissima figlia Andromeda (vedi costellazione sotto) a uno scoglio, affinché fosse sacrificata al mostro. I due regali genitori obbedirono, ma, proprio nel momento la fanciulla stava per essere sbranata da Ceto, intervenne Perseo (vedi sempre costellazione ultra) che la uccise. Il prode Perseo, peraltro, prima di difendere la bella Andromeda, chiese a Cassiopea e Cefeo di poterla avere in sposa. Pare, però, che i genitori della bella principessa abbiano accettato malvolentieri quello strano patto. La regina d’Etiopia, in particolare, decise di mettere i bastoni fra le ruote alla giovane coppia. Con la complicità di Finea, un precedente spasimante di Andromeda al quale la principessa era sta promessa, fece irrompere duecento guerrieri durante le celebrazioni del matrimonio, affinché uccidessero lo sposo. Questi, però, si trasse dall’impiccio, dapprima affrontando ed uccidendo una parte dei suoi avversari. Ai superstiti, poi, mostrò la testa di Medusa la Gorgone. Lo sguardo del mostro, infatti, nonostante la testa mozzata, era ancora in grado di pietrificare chiunque lo incontrasse. Al termine della sua tormentata esistenza, Cassiopea fu posta in cielo, intenta a lisciarsi con grande vanità la lunga chioma. La regina fu, inoltre, posta vicino al polo nord celeste, attorno al quale è condannata a girare incessantemente, sbeffeggiata dalle stelle che la guardano muoversi in tondo. Oltretutto, la superba regina, a causa di questo movimento circolare, per metà della notte sta seduta sul suo trono e per l’altra metà sta a pancia in giù, in una posizione scomodissima. Per questo motivo Cassiopea è detta anche la donna seduta. Così la costellazione viene detta la grande W o M, a seconda della posizione delle sue stelle, durante il loro incedere regolare intorno al citato polo nord celeste.
I Romani la ribattezzarono la regina d’Etiopia  la donna sulla sedia, lo scranno, il trono o anche la sedia, seguita dall’aggettivo regia o regale.

Cefeo alias il Consorte e Re d’Etiopia –
Le stelle della costellazione di Cefeo rappresentano la figura paterna nella famiglia reale della saga che domina il cielo dell’Emisfero boreale celeste. La sua regina è la vanitosa Cassiopea, la figlia la bella Andromeda, ed è anche grazie a loro che Cefeo è conosciuto. Il re d’Etiopia, sembrerebbe infatti una figura di secondo piano, nella citata vicenda. E questo nonostante le sue stelle, trovandosi vicino al polo nord celeste, siano sempre ben alte in cielo e ben conosciute. Cefeo è il classico un uomo debole che subisce passivamente gli eventi: un personaggio dominato dai desideri della moglie, e che non agisce con l’autorità che ci si aspetterebbe da un re. Alcuni mitografi ce lo descrivono nell’atto di congiungere le mani, sicuramente per supplicare gli dei affinché mettano fine alle devastazioni che il Dio Nettuno stava causando nel suo paese per punire la superbia della Regina Cassiopea. Anche nel citato episodio del banchetto nuziale di Andromeda e Perseo, quando irruppe Finea, il promesso sposo della principessa, Cefeo dapprima si oppose alla richiesta di quest’ultimo che voleva che gli fosse consegnata Andromeda. Dopo che Finea oppose un secco rifiuto, la battaglia fra il novello sposo e i suoi avversari iniziò. A quel punto il re d’Etiopia si ritirò di buon ordine, borbottando di aver fatto tutto quanto fosse in suo potere per evitare lo scontro.
Cefeo aveva nobilissime origini, in quanto diretto discendente del padre degli dei. Sua antenata era infatti Io, la fanciulla rapita da Giove sulla spiaggia di Tiro ma il suo regno non corrispondeva all’attuale Etiopia, bensì comprendeva alla zona costiera degli attuali stati di Israele, Giordania ed Egitto.
Ben diverso era un altro personaggio di nome Cefeo. Mitico eroe, figlio di Aleo (discendente di Arcade e di Neera, era signore di TEGEA antica città dell’ARCADIA. Padre di venti figli, partecipò con loro alla spedizione di Ercole contro Ippocoonte re di Sparte (in quell’episodio, tra l’altro perì insieme a diciassette dei suoi figli). Ippocoonte, figlio di Ebalo e della ninfa Batea, si era illegittimamente impadronito del trono, spodestando i legittimi eredi Tindareo (futuro consorte di Leda) e Icario, anche grazie all’aiuto dei suoi dodici figli (detti ipoccontidi). Non pago di quanto compiuto, decise anche di offendere l’autore delle mitiche dodici fatiche. Questi, per rappresaglia, lo uccise, rimettendo sul trono i due legittimi proprietari. Con il fratello Anfidamante, Cefeo, prese anche parte alla mitica spedizione degli Argonauti a bordo della Nave di Argo). Secondo un altra versione della leggenda Cefeo sarebbe stato, invece, figlio di Re Licurgo e, col fratello Anceo, avrebbe partecipato alla caccia del cinghiale calidonio, il terribile animale inviato dalla dea della caccia Diana, offesa da Eneo signore di Calidone, a infestare le sue terre.
Fra i discendenti di Cefeo va annoverata la figlia Aerope, moglie di Re Atreo di Micene (o secondo un’altra leggenda del figlio Plistene), madre di Agamennone e Menelao, noti eroi dell’epopea omerica. Quando Atreo (figlio di Pelope ed Ippodamia) scoprì il tradimento della moglie col fratello Tieste, la annegò in mare.
Detto che secondo alcune leggende rappresentava Nereo, il vecchio del mare, e padre delle 50 ninfe Nereidi, fra gli appellativi di origine latina ricordiamo: uomo regale, piccolo re, e, con riferimento all’adiacente costellazione del Boote colui che urla, colui che canta e colui che suona.

La Balena al secolo il Mostro Marino
Ceto (o la Balena) è il mostro marino apparso nel celebre mito di Andromeda (vedi sopra Cassiopea, Cefeo e sotto Perseo), la principessa incatenata alla roccia in sacrificio al dio del mare Nettuno. Ceto, richiamato dal tridente di Poseidone, aveva iniziato la sua opera di distruzione delle coste dell’Etiopia, che si sarebbe dovuta concludere solo dopo il sacrificio della bella principessa. Mentre Andromeda ed i suoi genitori attendevano inermi che il mostro marino, oramai emerso dalle acque in tutta la sua terrificante sagoma, compisse la sua terribile missione, intervenne Perseo. Con il miraggio di poter impalmare la bella principessa, Perseo ebbe la meglio sul mostro. Secondo una leggenda, l’eroe confuse il mostro, attirandolo verso la sua ombra. Quando Ceto si lanciò contro la sua immagine, riflessa sull’acqua del mare, Perseo gli piombò addosso dall’alto e, col falcetto magico donatogli dalla Dea Atena, lo uccise squarciando il suo corpo di durissime scaglie.
Secondo un’altra variante dell’epica battaglia, l’eroe attaccò improvvisamente Ceto, cogliendolo alla sprovvista, mentre la sua attenzione era oramai rivolta alla sua preda sacrificale che, in lacrime, attendeva sullo scoglio la sua triste fine. Piombando come un fulmine sul dorso del mostro, Perseo gli conficcò la spada sulla spalla destra. Il mostro, sorpreso da quest’improvviso attacco, si girò verso l’eroe, cercando di inghiottirlo fra le sue enormi fauci. Il promesso sposo, non si lasciò però spaventare dalla reazione del cetaceo e proseguì nella sua opera continuando a far penetrare la spada nel suo corpo. Così gli trapassò le costole fino a giungere alla coda. Con un ultimo conato di vita Ceto sputò un fiotto di sangue dalla bocca e poi cadde senza vita nelle acque del mare. Perseo, allora, portò la carcassa del mostro a riva, dove, tra ali festanti di folla, lo pose sulla spiaggia. Qui il pubblico che aveva assistito al terribile duello, spellò il mostro, esponendo al sole ed al ricordo dei posteri le ossa di Ceto. Una folla ora in delirio, e che invece, poco prima, aveva vinto le ultime titubanze di Cefeo e Cassiopea. I due, infatti, erano ovviamente titubanti riguardo al corso da dare ai voleri dell’oracolo di Ammon, che aveva prescritto il sacrificio di Andromeda. Ma i sudditi d’Etiopia, visto il perdurante pericolo per le loro proprietà e la loro vita, obbligarono i due genitori ad incatenare la bella principessa.
Secondo un’ultima variante del mito, Perseo avrebbe sconfitto il mostro, semplicemente mostrandogli la testa di Medusa la Gorgone che lo avrebbe pietrificato.
Varie sono state le rappresentazioni del mostro marino: un drago-pesce, un serpente di mare coperto di scaglie avvinte in enormi spire, una semplice Balena, ma anche una creatura ibrida per metà marina e per metà terrestre con le zampe anteriori protese in avanti.
Secondo un altro mito ellenico rappresentava l’animale inviato sempre da Nettuno a devastare le terre di Laomedonte, re di Troia che dopo aver chiesto l’aiuto del dio del mare, per erigere le mura della città, non lo aveva ricompensato. Fu allora obbligato a dare in pasto al mostro marino la figlia Esione che fu, poi, salvata da Ercole. Quando, poi, non mantenne la propria parola anche con l’autore delle dodici fatiche, quest’ultimo lo uccise.
Nella mitologia greca, poi, Ceto era anche il nome della mitica figlia di Ponto (il Mare) e di Gea (la Terra). Andata in sposa all fratello Forco, fu madre di tutta una genia di terribili creature, tra i quali vari mostri marini, le Gorgoni, Echidna (creatura per metà donna e metà serpente), ed il drago che custodiva il giardino delle Esperidi, celebre per i suoi pomi d’oro e, secondo una variante della leggenda, delle stesse Esperidi.
I Romani chiamarono questo gruppo di astri, la Balena, seguito da vari aggettivi nereide, fiera, nettunia, acquatica e ricoperta di squame.
Questi riferimenti latini ad una Balena, più che ad un vero e proprio mostro marino, potrebbero avere delle connessioni con un episodio narrato in un racconto. Sembra, infatti, che una terribile tempesta marina avesse un giorno sbattuto sulle coste del Lazio un enorme cetaceo, lungo ben dodici metri, e con vertebra di quasi due metri di diametro.

Pegaso ovvero il Cavallo Alato
Gli antichi Greci vedevano nella costellazione di Pegaso, il celebre cavallo alato. Le sue origini sono assai nobili in quanto suo padre era Nettuno (dio del mare e protettore dei bianchi cavalli che spumeggiavano nella schiuma dei cavalloni), mentre sua madre era la celebre Medusa la Gorgone. Medusa (figlia di Ceto e Forco) era una bellissima fanciulla con schiere di pretendenti che la desideravano, che però regolarmente rifiutava. L’unico che riuscì a sedurla fu il citato Nettuno, che però la fece sua nel tempio sacro dedicato alla Dea Atena. La dea si infuriò a tal punto che trasformò la bella Medusa in un agghiacciante mostro con dei serpenti al posto dei capelli e lo sguardo capace di trasformare in pietra chiunque lo incrociasse. La terribile creatura fu poi uccisa da Perseo (vedi costellazione) che la decapitò e si legò al fianco la sua testa mozzata (vedi anche costellazioni di Andromeda, Balena, Cefeo e Cassiopea). Dal suo corpo decollato sgorgarono, come da una fonte, il guerriero Crisaore ed appunto Pegaso (il cui nome deriva dal greco pegai che significa sorgenti o anche acqua). Secondo una variante del mito, invece, il cavallo alato, dal manto bianco e candido, sarebbe stato generato dal sangue stesso di Medusa. Secondo una leggenda, dopo la sua nascita fu domato dallo stesso Perseo che lo usò nella celebre lotta contro il mostro Ceto (vedi ancora costellazione della Balena). Secondo un altro mito, dopo la nascita, volò invece sul monte Elicona. Qui divenne il favorito delle muse in quanto, pic­chiando il suo zoccolo in terra, aveva dato origine alla fon­te Pirene alla quale le muse stesse andavano a dissetarsi. Presso questa fonte fu catturato e domato da Bellerofonte, anch’egli figlio di Nettuno, grazie ad una briglia dorata donatagli dalla Dea Atena. Adottato da Re Glauco di Licia, Bellerofonte era stato incaricato di uccidere Chimera (figlia di Tefeo ed Echidna) un mostro trimembre con tre teste, una di leone, una di capra ed una di drago (o di serpente secondo Omero nell’Iliade). Chimera eruttava fiamme dalla bocca e stava devastando il paese di Re Glauco. Così l’eroe volò dal mostro, in sella a Pegaso, e lo uccise scagliandogli contro una selva di frecce ed una lancia. L’impresa galvanizzò a tal punto Bellerofonte che decise, sfruttando le ali di Pegaso, di raggiungere l’Olimpo. Giove, però, decise di punire cotanta superbia ordinando al mitico equino di sbalzare di sella il giovane e farlo cadere in mare. Pegaso, invece, proseguì invece la sua corsa sino a giungere fra le stelle dove rimase permanentemente, o secondo una variante del mito sul monte OLIMPO. Qui il padre degli dei, in segno di gratitudine nei suoi confronti  per aver eseguito il suo ordine di sbalzare di sella il giovane superbo,  lo adottò e se ne servì per far giungere a terra i suoi fulmini (da qui il soprannome di cavallo tonante).
Detto che in una delle tragedie di Euripide, Pegaso era Melanippe, figlia del centauro Chirone, trasformata in una giumenta dalla Dea Diana e posta indi in cielo, nel mondo romano fu conosciuto come cavallo maggiore, cavallo gorgoneo, cavallo meduseo, o anche dal galoppo tonante o rumoroso per il già citato compito affidatogli da Giove.

Perseo – il Prode novello sposo
La costellazione di Perseo è in stretta relazione con quelle rappresentanti la famiglia reale d’Etiopia, il mostro marino Ceto e il cavallo alato (vedi omonime costellazioni), per via del salvataggio della bella principessa. Perseo era figlio di Danae, principessa di Argo, che era sta rinchiusa in un luogo inaccessibile dal padre Acrisio. Il re aveva saputo da un oracolo che, se Danae avesse messo al mondo un figlio, quest’ultimo lo avrebbe ucciso. Giove, però, trovò il modo di aggirare l’ostacolo e fece visita alla bella Danae, sotto forma di una nuvola di pioggia dorata. Dopo l’incontro la principessa rimase in cinta di Perseo, scatenando l’ira del padre, che, non appena il nipote nacque, lo rinchiuse in una cassa di legno e li mandò alla deriva nel mare.
Danae, allora, chiese aiuto a Giove, il quale li fece ammarare sulla spiaggia dell’isola di Serifo, dove il pescatore Ditti trovò madre e figlio in fin di vita. Il pescatore era fratello di Polidette, sovrano dell’isola. Questi, rapito dalla bellezza di Danae , decise di sposarla. La donna non era però attratta da quell’uomo e Perseo la difese dagli assalti del re. Polidette, allora, architettò un piano per liberarsi di lui, sicuro che la sua mancata presenza avrebbe convinto la madre a cercare nuovi affetti. Il re finse di essersi invaghito di Ippodamia e chiese ad ogni suo suddito di regalargli un cavallo, per poter scegliere il destriero più veloce per affrontare la mortale sfida col padre della principessa di Pisa (città greca ndr). Perseo, però, non possedeva un cavallo, ed allora Polidette gli intimò di portargli la testa di Medusa la Gorgone, con la quale avrebbe potuto eventualmente tramutare in pietra i suoi avversario ippici. Perseo, quindi, partì alla volta della mostruosa creatura (vedi anche sopra costellazione di Pegaso) e gli dei decisero di aiutarlo. La Dea Atena gli donò uno scudo in bronzo, in grado di riflettere lo sguardo pietrificante della Gorgone, Plutone l’elmo che donava l’invisibilità e che aveva utilizzato nello scontro coi Titani, Vulcano una spada di diamante e, infine, Mercurio un paio di sandali alati. Giunto sul monte Atlante Perseo incontrò una lunga serie di vittime pietrificate che gli fecero capire di essere giunto a destinazione. Reso invisibile dall’elmo, si avvicinò a Medusa, guidato solo dal proprio istinto, visto che il suo viso era coperto dallo scudo, per evitare di incrociare lo ‘sguardo fatale’. Con un colpo deciso della spada di VULCANO recise la testa del mostro, mentre dal suo corpo uscirono Crisaore e ed il cavallo alato (vedi ancora Pegaso). L’eroe poi raccolse il capo di Medusa, prima che le due sorelle Euriale e Steno andassero in suo soccorso e poi volò verso la bella Andromeda. Prima di giungere dalla principessa, dei venti che spiravano fortissimo lo obbligarono a chiedere ospitalità al titano Atlante che però si rifiutò di accoglierlo. Allora Perseo gli mostrò il capo di Medusa, trasformandolo nell’odierna catena dell’Atlante. Salvata Andromeda, il prode fece un salto a casa, e scoprì che la madre era fuggita dal palazzo reale. Danae si era infatti rifugiata in un tempio insieme al pescatore Ditti, per sfuggire alle mire sempre più pressanti di Re Polidette. Il re andò allora incontro al destino degli antagonisti dell’eroe e fu tramutato in pietra.
Detto che tempo dopo, nel corso di una gara di atletica, il disco lanciato da Perseo uccise il nonno Acrisio, dando così corso alla profezia, per i Romani queste stelle  rappresentavano il profugo, colui che vola e il gorgonifero.

Orsa Maggiore e il Grande Carro

Conosciuta anche Grande Carro, Grande Mestolo o Grande Paiolo, la costellazione dell’Orsa Maggiore, è da sempre stata affiancata all’adiacente Orsa Minore (vedi sotto) anche perché le stelle più luminose dei due asterismi hanno in cielo una disposizione molto simile. Inoltre, le stelle del Grande Carro possono essere utilizzate come utile riferimento per giungere alla stella polare e, quindi, al polo nord celeste. Un primo mito legato alla costellazione si ricollega ai rapporti burrascosi fra Giove (Zeus) e Saturno (Crono). Ogni anno quest’ultimo inghiottiva i figli partoriti dalla moglie Rea, che un giorno, stufa di questo andazzo, invece di dare in pasto al marito il piccolo Giove, gli consegnò una pietra avvolta dentro delle fasce da bambino. Il piccolo Zeus, frattanto venne nascosto in una grotta sull’isola di Creta, e cresciuto dalle ninfe Elice (o secondo una variante del mito dalla ninfa Adastrea) e Cinosaura. Saturno, per parte sua, scoperto l’inganno della moglie, diede la caccia all’infante, ma il futuro padre degli dei riuscì a far perdere le sue tracce, anche grazie ad un gruppo di guerrieri che batteva sul terreno le proprie lance per impedire a Saturno di ascoltare i vagiti del figlio, a cui stava dando disperatamente la caccia. Una variante del mito narra che anche Pan fu allevato in quella grotta. Divenuto adulto, Zeus pose le sue due nutrici in cielo: Elice divenne l’Orsa Maggiore e Cinosaura l’Orsa Minore.

Un altro mito narra che l’Orsa Maggiore fosse la rappresentazione celeste della bella Callisto, figlia del Re Licaone di Arcadia. Secondo una variante del mito era invece figlia di Ceteo (figlio dello stesso Licaone) e che era identificato nella vicina costellazione di Ercole, in ginocchio mentre supplicava gli dei che riportassero Callisto nella sua natura umana. Callisto (conosciuta anche come Elice il che la ricollega al mito precedentemente citato) era un’ancella del seguito di Diana, dea della caccia, che fu rapita e messa incinta da Giove. Poiché le ancelle di Artemide dovevano rimanere illibate come la loro protettrice, quando quest’ultima si accorse della sua castità perduta la trasformò in un’orsa. La leggenda narra che se ne accorse quando la dea e tutto il suo seguito fece il bagno in un ruscello. Obbligata a spogliarsi Callisto non poté più celare il suo stato di gravidanza avanzata. Secondo una variante del mito, l’ancella fu trasformata in un’orsa dall’amante Giove, o ancora da Giunone. Secondo una delle tante versioni del mito, anche il figlio Arcade (frutto della sua relazione col padre degli dei) venne trasformato in un orso (vedi costellazione dell’Orsa Minore) e portato in cielo da Zeus con una tromba d’aria, per salvarlo insieme alla madre dalle persecuzioni della citata Giunone.
I Romani, invece, avevano denominato le sette stelle dell’Orsa Maggiore i sette buoi, septem Triones in latino (da cui il nome settentrione per indicare il punto cardinale nord), poiché, col loro incedere maestoso e regolare intorno al polo nord celeste ricordavano i buoi durante l’aratura.
Altre definizioni latine furono: l’orsa gemella, la fiera maggiore e l’orsa con l’orsetto, con riferimento all’adiacente Orsa Minore. Altri nomignoli di origine latina furono la vergine nonacrina e la vergine tegea, dal nome delle due città dell’Arcadia, Nonacri e Tegea, dove le leggende narravano fosse nata Callisto.

Orsa Minore e il Piccolo Carro
Conosciuta anche come Piccolo Carro, Piccolo Paiolo o Piccolo Mestolo, la costellazione dell’Orsa Minore è legata a filo doppio a quella dell’Orsa Maggiore. Infatti, secondo una variante della citata leggenda riguardante Callisto, anche il figlio Arcade fu trasformato in un orso e, insieme, vissero nelle foreste in amorevole compagnia. Un giorno, però, un gruppo di cacciatori li scovò e cominciò ad inseguirli. I due orsi allora fuggirono finché Zeus, per salvare l’amante e il figlio, decise di porre entrambi in cielo per evitare loro una tragica sorte. Decise poi di porli vicino al polo nord celeste, dove le stelle mai tramontano, per non perderli di vista durante la notte, mentre ruotano incessantemente attorno al punto che sembra rappresentare il perno della volta celeste.
Secondo un altro mito la posizione nel firmamento delle due orsie, invece, farebbe ancora capo all’ira funesta di Giunone, quando si accorse che la rivale con il figlio erano ascese al cielo. La regina dell’Olimpo, chiese allora ai genitori addottivi Oceano e Teti di impedir loro di bagnarsi nel mare per trovare refrigerio durante la calda stagione estiva. Infatti, come può facilmente notare l’osservatore attento, le due orse non tramonta mai in cielo (almeno alle nostre latitudini) e quindi non scendono sotto il mare. Le stelle dell’Orsa Minore erano anche conosciute (al pari di quelle dell’Orsa Maggiore) come la piccola spirale (grande per l’altra Orsa), poiché sembrano girare incessantemente intorno al citato polo nord celeste.
Alcuni mitografi scorsero nelle stelle più luminose del Piccolo Carro le Esperidi, le sette ninfe, (anche se il loro numero variava da tre ad undici) figlie del titano Atlante Esperide. Secondo altre varianti del mito erano alternativamente figlie della Notte, di Teti ed Oceano, di Giove e Temi, di Forco e ceto . Qualunque fosse il loro albero genealogico, i loro nomi erano: Egle, Eritea, Aretusa, Estia, Espera, Esperusa ed Esperia. Le sette ninfe rappresentavano le onde dell’oceano o i struggenti colori del tramonto dalle mille sfumature dorate. E proprio ad oggetti dorati è riferito il mito più celebre di cui furono protagoniste. Narra il mito, infatti, che sul Monte Atlante, sul bordo occidentale del mondo (retto sulle spalle dal padre), le Esperidi curavano l’albero delle mele d’oro donato a Giunone dalla Dea-Terra Gea come regalo per il suo matrimonio col supremo dio Giove. Le Esperidi erano anche conosciute come creature dalla natura misteriosa ed erano legate a tutti i riti magici che accompagnavano col loro celebre canto melodioso. Come detto per l’Orsa Maggiore, una delle nutrici di Giove si chiamava Cinosaura. (o secondo altre fonti Ida).  Questa parola in greco significa la coda del cane, nome riferito alternativamente alla costellazione ed alla sua stella più luminosa, la stella polare, che indica anche il polo nord celeste. Questo riferimento canino, deriva dalla leggenda secondo la quale l’Orsa Minore era il cane del Guardiano del Gregge, rappresentato in cielo della costellazione del Boote: un segugio pronto a dare la caccia all’Orsa Maggiore.

ARISTOTELE SPIEGA L’UNIVERSO
Con Platone e  Aristotele il sapere si cristallizza e rimarrà immobile sino ai tempi di Copernico.
Il primo teorizzava che la forma del mondo fosse sferica e che ciascun movimento dovesse essere circolare ed effettuarsi in cerchi perfetti ed a velocità costante. La forma sferica era perfetta in quanto completamente omogenea dal centro verso gli estremi e, secondo Platone, l’omogeneo era infinitamente più bello del disuguale. Nell’opera di Platone non esisteva una netta distinzione fra metafora e realtà. Ogni dubbio venne quindi dissipato da Aristotele. Con la sua opera si bloccano gli sviluppi portati avanti dai filosofi precedenti: i Pitagorici, ad esempio, avevano supposto che il nostro pianeta fosse sferico ed in movimento attorno al Sole, mentre gli atomisti avevano postulato un universo infinito. Aristotele, invece, riporta il nostro pianeta al centro dell’Universo ed immobile. La Terra era circondata da nove sfere trasparenti e concentriche, chiuse l’una sull’altra.

La sfera più vicina a noi era quella della Luna. Seguivano poi quelle dei pianeti (inframmezzate da quella del Sole) e poi l’universo aristotelico si chiudeva con la sfera delle stelle fisse e, infine, vi era quella del primo motore, che faceva muovere e l’intero creato, ovvero Dio. Un motore immobile che governava il creato dall’esterno. Questo spostamento della dimora divina faceva sì che la Terra diventasse a questo punto il luogo del Creato più lontano da Dio e quindi il più corrotto.
Qui si rendeva possibile ogni sorta di cambiamento: le sfere celesti erano invece perfette e incorruttibili. Questa visione di un mondo diviso in due parti, una corruttibile e una perfetta avrebbe consentito alla teoria aristotelica di assumere una posizione predominante nella cosmologia e nella religione sia nell’epoca antica che in quella medievale. Anzitutto, l’idea che Dio governasse il mondo ben si adattava alle parole della Bibbia e alla visione cristiana del mondo, senza dimenticare che, in un’epoca dominata dall’incertezza come quella  medievale, era rassicurante pesare ad un universo perfetto ed immutabile. Il mutabile e ciò che non cambiava potevano essere anche colti con uno sguardo d’insieme. La divisione dell’Universo trovava la propria base anche nella presenza di materia diversa e nei movimenti distinti che si svolgevano nelle due parti del creato. Nel mondo sublunare, la materia stessa si formava per la continua combinazione di quattro elementi diversi: terra, acqua, aria e fuoco. Questi materiali erano, a loro volta, la combinazione di due coppie di opposti: il caldo e il freddo, il secco e l’umido, la cui natura li portava a spostarsi in linea retta: la terra dall’alto verso il basso, mentre il movimento dell’acqua e dell’aria era orizzontale.

La sfera sublunare era completamente riempita dall’atmosfera la cui parte più alta è, a sua volta, formata da una materia capace di infiammarsi e di produrre comete e meteore. Superata la sfera sublunare inizia il regno dell’immutabile. I quattro elementi terrestri spariscono per lasciare il posto ad un quinto, immutabile e puro, la cui purezza aumenta sempre più, mano a mano che ci si allontanava dal nostro pianeta. Il movimento di questo quinto elemento era, naturalmente, in netta antitesi con quello rettilineo dei quattro elementi terrestri e, quindi, il movimento circolare dominava le sfere poste al di là di quella lunare. Il mondo era così chiuso in una visione, all’interno della quale dominavano l’immobilità e la perfezione. Solo dopo duemila anni, questo meccanismo perfetto sarebbe stato scardinato.  L’universo di Aristotele si reggeva sulle sfere concentriche che ruotavano intorno alla Terra che ne costituiva il centro. Ed il sistema di sfere, su cui si muoveva l’intero universo, era stato teorizzato da Eudosso, allievo di Platone e brillante matematico.

Al di là delle dichiarazioni di principio sulla circolarità e perfezione del movimento delle sfere, il moto dei pianeti, della Luna e del Sole si mostrò subito poco riluttante ad aderire alla visione cosmologica delle sfere in perenne movimento. I pianeti, infatti, mostravano stazioni e regressioni, ossia il loro moto apparente sulla volta celeste sembrava fermarsi e ripartire. Il compito degli studiosi di astronomia era dunque di mostrare come tali irregolarità rientrassero comunque in una logica di perfezione suprema. Di ciò si occupò Eudosso, la cui opera fu poi portata avanti dal suo discepolo Calippo. Eudosso assegnò a ciascun pianeta non una, ma diverse sfere su cui ruotare intorno alla Terra. Ciascun pianeta, in particolare, era fissato su un punto dell’equatore di una sfera che girava intorno al proprio asse. Questa sfera penetrava in una concentrica più grande che, a sua volta, entrava in una sfera ancor più grande. Questo complicatissimo sistema faceva sì che il pianeta partecipasse a tutte le rotazioni indipendenti delle sfere che costituivano una sorta di nido e che il suo moto le facesse girare ad alta velocità. Le sfere erano tre per il Sole e la Luna, ma diventavano quattro per spiegare i movimenti più complicati dei cinque pianeti. Quando si parla del cosmo aristotelico dominato da nove sfere, in realtà, si compie una grande approssimazione. Le sfere, infatti,  erano addirittura 56.
La grande difficoltà insita nella visione dell’universo aristotelico era di trovare un collegamento meccanico fra tutte le sfere, mentre, al contempo, nessun movimento delle sfere di un pianeta doveva trasmettersi alle altre. Aristotele risolse il problema con la previsioni di sfere neutralizzanti che si muovevano in direzione opposta rispetto alle sfere agenti, fra due gruppi di sfere successivi. Un altro problema rimaneva però irrisolto. Se ogni sfera prendeva parte al movimento di quella che la comprendeva, necessitava di una forza speciale per la sua rotazione intorno la proprio asse e ciò rendeva necessaria la presenza di 55 motori non mossi per rendere l’intero sistema funzionante. La visone di Aristotele verrà poi ripresa e perfezionata da Tolomeo.

TOLOMEO E IL SUO SISTEMA MILLENARIO
Dopo la conquista di Alessandro Magno (avvenuta nel 332 a.C.) l’Egitto ritornò al suo splendore che si era offuscato due secoli prima quando il paese era stato suddiviso in un regno settentrionale e uno meridionale. Una divisione a cui  era seguita, poco dopo, la conquista da parte delle truppe persiane. La ripresa economica e culturale dell’Egitto continuò sotto i successori di Alessandro e la capitale del regno, Alessandria, divenne il centro culturale più importante del mondo antico. Nella città, tra l’altro, trovava posto la grande biblioteca in grado di ospitare fino a 700 000 manoscritti. In questo ambiente fiorì la scuola di astronomia il cui esponente più conosciuto fu, nel II secolo dopo Cristo, Claudio Tolomeo che svolse la propria attività scientifica fra il 127 e il 150 d. C. L’opera per la quale Tolomeo è entrato nella storia dell’astronomia e della scienza occidentale è l’Almagesto, il nome che assegnarono alla sua opera gli Arabi che la tradussero. Il titolo originale dell’opera è andato perduto.

Tolomeo apriva il proprio trattato con la presentazione della sue teorie cosmologiche ed esaminava quindi la posizione della Terra rispetto ai cieli che la sovrastavano. Seguiva lo studio sull’eclittica (il cerchio che attraversa il cielo e lungo il quale il Sole transita durante l’anno), sulla posizione delle varie località sulla terrestri e sulle differenze esistenti fra una località e l’altra in base ai diversi orizzonti delle località medesime; venivano poi considerati i moti del Sole , della Luna con le loro particolarità. Seguiva un accurato catalogo con la posizione di 1022 stelle fisse che si trovano nella zona dell’eclittica. L’opera si concludeva con la descrizione della sfera su cui si trovano le stelle fisse e, infine, la descrizione dei cinque pianeti.

L’approccio di Tolomeo per spiegare i fenomeni era prettamente scientifico: egli poneva come principi e base di ciò che vuole trovare, i fatti indubitabili e le osservazioni incontestabili. Dopo ciò, con l’uso degli strumenti messi a disposizione da geometria e trigonometria, deduceva dalle osservazioni i parametri per calcolare i modelli che spiegano i moti degli oggetti osservati. Secondo l’astronomo alessandrino, il cielo era una vasta sfera in perenne rotazione attorno a un unico centro per tutte le stelle, determinato da un proprio asse. Un’affermazione confermata dalla rotazione del firmamento intorno al polo celeste. Tolomeo asseriva che anche la Terra fosse una sfera e la conferma di ciò poteva essere rinvenuta nel fatto che il Sole e le stelle non sorgessero nello stesso istante, ma prima nelle località che si trovavano più a oriente rispetto a quelle poste più ad occidente. La Terra era però al centro del cielo e, quindi, dell’universo.

Diversamente le differenti zone del cielo, che sembravano uguali in qualsiasi punto le si osservassero sarebbero apparse invece diseguali. Da ciò si poteva agevolmente trarre la conseguenza che la Terra fosse immobile. In caso contrario, se avesse avuto quindi un proprio moto, si sarebbe allontanata dal centro del mondo stesso. La sua immobilità derivava anche dalla necessaria presenza di un punto preciso verso cui tutti i movimenti dei corpi degli astri dovessero fare riferimento. Un eventuale movimento di rotazione della Terra, vista la sua grande massa, sarebbe così forte da lasciare indietro qualsiasi corpo di trovasse sulla sua superficie. Per quanto riguarda i pianeti, la sua teoria gli diede lustro per circa 1400 anni e rimase, per quel lungo periodo di tempo, intatta. Il sistema delle sfere (ideato da Eudosso e ripreso da Aristotele) considerava i pianeti in movimento intorno alla Terra a distanze invariabili, anche se un dubbio rimaneva aperto, riguardo al differente splendore che i pianeti stessi mostravano.

La questione delle distanze andava quindi riconsiderata. Il fenomeno venne spiegato (probabilmente per la prima volta da Apollonio di Rodi) con il seguente meccanismo: il moto dei pianeti è costante e circolare rispetto al proprio centro dell’orbita che però non si trova sulla Terra ma spostato rispetto  ad essa, cosicché a noi non sembra regolare. Un altro problema riguardava i moti planetari, che sembrano fermarsi (le cosiddette stazioni) poi tornare indietro (il cosiddetto moto retrogrado) sulla volta celeste. Queste stazioni e retrogradazioni non sembravano però verificarsi sempre nello stesso punto della volta celeste. Per ovviare a questo problema venne inventato il concetto di epiciclo. Secondo tale teoria il pianeta ruotava intorno ad un preciso punto che si trovava al centro del cerchio, che rappresentava l’orbita del pianeta stesso. Il pianeta, però, ruotava lungo un cerchio minore, il cosiddetto epiciclo, il cui centro si trovava sulla circonferenza stessa. Si allontanava ed avvicinava da noi, spiegando così le differenze di brillantezza. Con questa teoria si comprendevano, così, anche i moti di longitudine dei pianeti, ma non quelli di latitudine. A ciò l’astronomo alessandrino ed i suoi seguaci non diedero risposta. La mancata spiegazione di questo moto dei pianeti sulla volta celeste può anche essere ricercato con la poco sensibile variazione del moto di questi pianeti, per via della loro inclinazione minima sul piano dell’eclittica. Per trovare una spiegazione a tali moti, la cui natura sfuggirà anche a Tycho Brahe e a Copernico, si dovrà attendere l’opera di Keplero.

Le costellazioni circumpolari (definizione)

 Le costellazioni circumpolari sono gruppi di stelle che nel corso della notte restano sempre al di sopra dell’orizzonte, quindi non tramontano mai.
Come identificare una costellazione o una stella circumpolare? Va tracciata la perpendicolare che parte dalla stella polare e arriva a toccare un punto sull’orizzonte; quest’ultimo formerà, insieme alla polare e all’osservatore, un determinato angolo; pertanto gli astri distanti dal polo di un valore uguale o minore non scenderanno mai sotto l’orizzonte e potranno definirsi circumpolari.
Quindi apparterranno a questo tipo tutte le costellazioni la cui distanza angolare dal polo celeste è minore della latitudine geografica del luogo di osservazione.
Sono costellazioni circumpolari alle latitudini italiane: Orsa MaggioreOrsa Minore , Cassiopea, Cefeo, Drago, Giraffa e Lince. Le ultime due sono costellazioni moderne (risalenti al XVII secolo e quindi successive al dipinto di Raffaello), mentre le prime quattro sono oggetto della speculazione della nostra ricerca.

Fonti:

Miti e leggende dello Spazio Siderale, Demetra 1998

Atlante della Storia dell’Astronomia, Demetra 1999

Testo, ricerche e studi a cura di Luca Parravicini, Marco Parravicini, Luigi Viazzo (soci e consiglieri del GAL).

Immagini tratte da Wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/Scuola_di_Atene

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